Blocco Agricolo in Colombia

Una fila di camion , che sembra interminabile, strombazza sulla Panamericana, la stradona latino americana, sulla quale si affaccia il mio ufficio. Rallentano il traffico mostrando la bandiera colombiana e quelle delle organizzazioni di categoria.

“Sono i camionisti che appoggiano i contadini nella protesta”, mi spiega un collega, “è un buon segnale per la lotta ma non per i blocchi, potrebbero durare settimane”.

 

Da Pasto, la città nel sud della Colombia dove sto vivendo, è difficile capire la situazione, sembra tutto scorrere come al solito, solo non si può uscire dalla città, le vie sono bloccate.

Il “paro agrario”, infatti, questo prevede: bloccare il traffico sulle vie principali, bloccare il commercio, l’arrivo di benzina e il transito di persone, per ottenere ascolto da parte del Governo.
E’ quasi passata una settimana dall’inizio dei blocchi e il bilancio è pesantissimo: 3 indigeni morti, molti feriti, anche tra le forze dell’ordine, scontri che continuano e vie bloccate.

 

Quali sono i motivi dei contadini? Chi ha invocato la protesta?

La rabbia dei contadini è stata organizzata dalla “Cumbre Agraria” (vertice agrario) un gruppo di associazioni agricole e popolari, unitesi nel 2013, anno in cui ci fu un altro grande blocco.

 

La Cumbre, sostiene che il Governo non abbia rispettato gli accordi presi con il movimento nel 2013, mentre gli esponenti dello stesso si dichiarano stupiti. Secondo il Vice Ministro dell’interno, Guillermo Rivera, il paro è ingiustificato, essendo il Governo Santos quello che più si è impegnato a dialogare con i contadini.

Nonostante il disaccordo, è lo stesso Vice Ministro ad aver affermato che “la protesta sociale è un diritto, è giusto venga rispettato e garantito”.

 

E’ proprio sulla garanzia alla protesta si stanno concentrando gli indigeni, contadini e afrodiscendenti per continuare la lotta, gli scontri con le forze dell’ordine hanno portato a 3 decessi, nonostante le cause siano ancora tutte da verificare, non è comunque accettabile. Non è accettabile un livello di scontro così rischioso.

A rispondere alle dichiarazioni del Ministro è Cesar Jerez, leader di Cumbre Agraria : “1100 ore di negoziazioni, pochissimi minuti di accordi”. Poche parole per esprimere la filosofia che sta dietro a questi giorni di lotta, non si nega l’intendo di dialogo ma gli scarsi risultati a cui esso ha portato.

 

Il movimento di protesta ha riassunto in 8 punti le richieste per il Governo, alcune riprese dal paro del 2013 rimaste incompiute:

-Terra, territori collettivi e gestione territoriale
-Economia del settore agricolo
-Miniere e energia
-Coltivazioni di cocaina, marijuana e papavero
-Diritti politici, garanzie per le vittime del conflitto e giustizia
-Diritti sociali
-Rapporto campagne-città
-Pace

 

Le comunità indigene chiedono che siano rispettate le forme di governo proprie, in quanto a salute, giustizia, istruzione. I “resguardos” indigeni (presidi), secondo legge, dovrebbero avere piena autonomia in questo senso, ma manca ancora molto perché sia una realtà effettiva nel paese.

I contadini chiedono inoltre una riforma agraria integrale, in grado di ridistribuire le terre in questa fase di post-conflitto. Terre sempre più vuote, i giovani scappano e il sistema economico non permette una valorizzazione delle piccole produzioni. I contadini auspicano un ritorno all’agroecologia, all’utilizzo dei semi tradizionali, per spezzare la catena di dipendenza dalle multinazionali dei pesticidi e dei semi importati.

 

Il problema delle miniere illegali è fortissimo qui in Colombia, le licenze vengono concesse senza approvazione delle comunità, che assistono impotenti un deturpamento dell’ambiente, delle acque, dei boschi. Una concertazione di quante e quali licenze emettere, è l’obbiettivo da raggiungere secondo le istanze espresse del Cumbre.

Le coltivazioni di cocaina, marijuana e papavero, sono per moltissimi contadini una scelta obbligata, una garanzia di entrata che altre produzioni non possono superare.
La produzione però non è solo destinata al mercato illegale, le piante sono essenziali anche per i rituali e per la medicina tradizionale. Il perseguitare i contadini non può essere una soluzione, vanno offerte delle valide alternative e tollerate le piccole produzioni per le comunità che le necessitano.

 

In generale i contadini chiedono di poter partecipare, alla costruzione della pace e alla costruzione delle politiche che riguardano loro e i loro territori. I costi militari in Colombia, superano quelli sociali, ci si aspetta una lenta smilitarizzazione, anche delle basi straniere, per cominciare a costruire la pace con politiche differenti.
La mia amica e collega Chiara, si trova in questo momento nel Cauca, un’altra regione del Paese, dove il paro si fa sentire in maniera più forte e dove le comunità indigene hanno subito le 3 morti per la protesta.

La chiamo per chiederle di raccontarmi la situazione nella zona e le ragioni delle comunità indigena Nasa, che nel municipio di Toribio gestiscono un centro di formazione. Il motivo principale della mobilizzazione è l’autonomia.

 

Le comunità indigene nei propri territori chiedono di poter avere un governo proprio e una gestione propria di salute, giustizia e istruzione. “Sulla carta” l’autonomia già è effettiva ma una mancanza di fondi e una consolidazione delle proposte rallentano il processo.

Lunedì scorso si sono riuniti tutti i resguardos del Cric (presidi del consiglio regionale degli indigeni del Cauca), mercoledì sono stati ricevuti i ministri per le contrattazioni ma gli scontri hanno aggravato la situazione. La richiesta della possibilità di una protesta pacifica senza polizia, non è stata accolta e le tre morti hanno accesso ancora di più la protesta.

 

“Sono partiti alcuni bus con persone pronte a fermarsi molto per la protesta. Avevano coperte, legna, cibo, alcuni però hanno rinunciato per paura” mi racconta Chiara.

Le strade sono ancora bloccate e non si sono ancora raggiunti accordi validi per entrambi le parti.

 

E’ una lotta giusta quella dei contadini, degli indigeni, degli afrodiscendenti, è la prova che si possa ancora alzare la voce contro un sistema economico che schiaccia le piccole realtà e un sistema politico che fa il suo gioco.

07/06/2016
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