Anime nere

Storia di ‘Ndrangheta, nell’Italia di oggi: tre fratelli, nativi di Africo, vivono tra Milano e la Calabria. Rocco (P. Mazzotta) e Luigi (M. Leonardi), il primo più riflessivo e razionale, il secondo sanguigno e impulsivo, sono immischiati in affari criminali al nord, in traffico di stupefacenti con l’estero e riciclaggio di denaro nell’edilizia milanese; il terzo e più grande, Luciano (F. Ferracane) è rimasto nel suo paese natio e si dedica all’allevamento del bestiame e non si interessa dei traffici dei fratelli. Il figlio di Luciano, l’irrequieto e giovane Leo (G. Fumo), vuol mostrare di essere un uomo e ha in animo di seguire le orme degli zii, insofferente alla scuola e al mestiere del padre, col quale non parla: Leo compie un’intimidazione, a colpi di arma da fuoco,  contro l’attività commerciale di un rivale, producendo un piccolo incidente diplomatico. Il padre, riluttante, e i fratelli dal nord, devono riunirsi e intervenire, per riaccomodare le cose. Sullo sfondo, lotte interne tra clan, che coinvolgono i tre fratelli e apriranno una spirale di sangue che tutto e tutti coinvolgerà.

Terza opera di Francesco Munzi, accolta con favore all’ultimo festival di Venezia, sicuramente ricca di pregi: ottima direzione degli attori, atmosfere livide (bella fotografia piovosa), sceneggiatura senza smagliature e parlata in dialetto calabro (sottotitolato spesso), fatta di sottrazioni nei dialoghi e dissolvenze. Finale che ricorda il “Fratelli” di Abel Ferrara e una tragedia scespiriana.

Ritratto di ‘Ndrangheta feroce e violenta, dove non c’è spazio per la simpatia per i personaggi: uomini, anche Luciano in fondo, legati alla loro cultura maschilista e patriarcale (le donne fanno tappezzeria e comunque approvano le scelte dei maschi), immersi nel loro passato, in un presente criminale che è fatto di modernità e riti quasi tribali, di antico e distorto senso dell’onore e società globalizzata dei giorni nostri.

Disperato, notturno, senza catarsi, nè redenzione. Da vedere assolutamente.

21/09/2014
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