Campagna per la cittadinanza 2020-2021: Noise

Think different” “Do the right thing” “Work Hard. Have Fun. Make History” “If You can dream it, you can do it” “Do great things” “Make every second count” “Do what you can’t” “Broadcast yourself” “Make it possible”.

Concisi e convincenti: difficile dirsi contrari a questi slogan. Sono i mantra che rappresentano i valori del nostro mondo e le promesse per cui vale la pena vivere: libertà, ambizione, successo, immaginazione e sogni da realizzare.

Ma sono soprattutto i motti di alcuni dei grandi colossi del digitale che ogni giorno raggiungono attraverso i loro canali miliardi di persone e che producono ogni anno fatturati da capogiro: Apple (​260,2 miliardi di dollari nel 2019)​, Google (136,81 miliardi), Amazon (280,5 miliardi), Disney (69,57 miliardi), Microsoft (125,8), Tik Tok (17 miliardi), Samsung (211,2 miliardi), Youtube (15,5 miliardi), HUAWEI (122,9 miliardi).

Sono loro oggi a dominare e definire il contesto culturale in cui nasciamo e cresciamo.
Sono diventati imprescindibili per la vita delle persone e formano un consolidato ​sistema di linguaggi e valori, che influenzano lo stile di vita delle persone, nel pensiero e nell’azione​.
Oggi sono crollate per come le si conoscevano le agenzie educative tradizionali – la famiglia, la scuola, le organizzazioni della società civile, la rappresentanza politiche e istituzionali – che dovrebbero accompagnare i giovani alla scoperta del mondo, e alla consapevolezza di sé nel mondo.
Sono travolte e immerse nei più grandi bacini dell’industria culturale che governano l’immaginario collettivo, secondo i loro tempi, regole e priorità. ​
La cultura -arte, informazione, intrattenimento- ​è prodotta in termini di beni di consumo su larga scala​, con lo scopo ultimo e principale di ottenere profitto da seguaci/sudditi fedeli alla comodità e all’apparente varietà dell’offerta.
I grandi canali di diffusione mediatici e commerciali sono a tutti gli effetti i nuovi educatori ai quali è quasi impossibile sottrarsi, ancor di più nella dimensione virtuale e con la diffusione di internet: a ritmo incalzante bombardano la realtà con rappresentazioni e messaggi, e attraverso oggetti, esperienze e personaggi simbolo, nutrono i desideri e le speranze degli individui, influenzando il modo di vivere e di stare insieme, dalla casa alla famiglia, dal lavoro al tempo libero, dai rapporti sentimentali agli impegni pubblici.

Nonostante la grande offerta a disposizione – i 31 milioni di canali Youtube, i quasi 15000 titoli di Netflix, gli oltre 12 milioni di prodotti diversi venduti su Amazon- e le grandi opportunità che questo sistema promette e garantisce, ​c’è da chiedersi se tutto questo non sia solo un grande rumore, un disturbo, che distrae da questioni importanti​.

Soprattutto se ci si confronta con uno scenario globale ​che vede la ricchezza in crescita, ma concentrata nelle mani di pochi, mentre una significativa parte della popolazione che continua ad agitarsi, muoversi, rischiare e perdere la vita dentro e fuori dai confini nazionali per sfuggire alla povertà.
Si tratta di persone che non inseguono solo la ricchezza materiale ma anche lo stile di vita e lo status associato al benessere, promosso e promesso proprio da quell’industria culturale. Il tutto in sistema dal punto di vista ambientale sempre più al collasso, in un mondo depredato delle risorse e senza scrupoli per ecosistemi e altri esseri viventi.

La pandemia non ha fatto altro che mettere sotto i riflettori e alimentare questa situazione di dominio e dipendenza. Queste grandi aziende si sono dimostrate solide, insostituibili, si sono arricchite e hanno aumentato il consenso, mentre il mondo della cultura, dell’arte e dell’educazione di prossimità fondato su un rapporto dialettico e pedagogico con le persone e con le comunità locali ha subito colpi fortissimi ed è stato fortemente trascurato dalle misure di contenimento della crisi, scuola in primis!

Un presupposto della democrazia liberale è che gli uomini sono liberi nella misura in cui hanno pari possibilità di realizzarsi, ricercando e coltivando passioni, talenti, vocazioni e sogni, compatibilmente agli altri e insieme agli altri, e di partecipare quindi alla vita pubblica, all’organizzazione politica economica e sociale della società.
Sappiamo che gli ostacoli alla piena realizzazione di questo principio costituzionale possono essere non solo discriminazioni di ordine materiale, poiché costringono le persone in condizione di bisogno o di paura, ma anche e soprattutto discriminazioni di ordine culturale quando inibiscono, influenzano, limitano e rendono meno autentici i desideri e le ambizioni personali e collettive.

È necessario quindi conoscere quali sono oggi ​i canali e i luoghi attraverso cui la cultura si diffonde e attraverso cui si forma il pensiero dei cittadini​, perché alcune dinamiche di potere e di comunicazione rendono più forti le discriminazioni sociali, verso chi ha strumenti culturali meno adeguati per distinguere e rielaborare le informazioni e le conoscenze che riceve e subisce più pesantemente l’assenza di intermediari solidi e credibili.

Ci sono alcune questioni in particolare da cui non distrarsi.

Intanto, se è vero che oggi i canali di diffusione della cultura sono di massa, molto più accessibili a chiunque, c’è da chiedersi se possono ancora essere ​strumenti di consapevolezza civica, liberazione, emancipazione per tutti​, oppure sono sempre più ​strumenti di un potere oppressivo che tende all’omologazione e al controllo sociale​.
Anche le forme di pensiero alternative, che si oppongono idealmente ai sistemi di potere dominanti, e che vogliono combattere le ingiustizie sociali, sono perfettamente incasellate in un discorso di sistema, sbandierate e libere di esprimersi, ben rappresentate e promosse da centinaia di film, serie tv, canzoni,.. e da qualche piccola rivoluzione simbolica lasciata sfogare di tanto in tanto, al prezzo di qualche vita comunque considerata inutile.
Il tutto in modo di fatto da tenere a bada, appagare e contenere tutte le spinte di impegno politico e lasciare invariati i rapporti di forza.

Inoltre il dominio di pochi colossi digitali di media ed entertainment, e il potere sui dati dei consumatori/elettori, non solo incide direttamente sulla libertà dei cittadini, ma ​genera distorsioni forti rispetto al già delicato funzionamento della democrazia​.
L’arena pubblica -ancora troppo limitata ai singoli stati, lenta e macchinosa- è soffocata, schiacciata, resa residuale e funzionale allo show, mentre il dibattito pubblico, il processo di creazione del consenso e l’esercizio del potere sono spostati sempre più in arene private di scala globale con altre regole e poteri.
Le alleanze più o meno trasparenti e più o meno legittime tra alcune potenze economiche e alcune forze politiche generano poi gravi conseguenze e tendenzialmente servono il mantenimento dello status quo, con i pochi che provano veramente a opporsi lasciati indifesi, resi sacrificabili e impotenti o subito eliminati.
Serve quindi andare oltre questo noise, analizzando e approfondendo il tema della cultura- in termini di produzione, diffusione e fruizione – e la relazione con la salute della democrazia.

Quale consapevolezza abbiamo di tutto questo e del nostro personale e collettivo coinvolgimento? Possiamo provare a definire come agire per mitigare gli effetti distorti di questo strapotere, vogliamo provare a esercitare quote di sovranità reale in questo sistema, anche attraverso la scuola, le istituzioni democratiche e la società civile?