1000 Pesos

Pasto, Departamento de Nariño, Colombia

Ogni giorno per andare in ufficio prendo il C7, un bus che mi traghetta comodamente dalla “calle” sotto casa alla sede della Ong per cui lavoro.
E’ sufficiente gridare “puerta!” per scendere e agitare la mano per salire, da qualsiasi punto della tratta.

Una corsa vale 1400 pesos, quindi la mattina, prima di uscire, conto le monetine da mettermi in tasca per avere già la cifra esatta da consegnare all’autista appena salita. Tra tutte, la banconota e la moneta da 1000 pesos sono quelle che mi piacciono di più.

 

Sulla moneta campeggia una tartaruga d’acqua e un invito alla conservazione di questo bene comune e dei suoi abitanti. Sulla banconota, invece, un ritratto di Jorge Eliécer Gaitán, un politico così apprezzato dai colombiani da essere sul pezzo da 1000 e essere secondo solo a Simon Bolivar, in quanto a statue.

 

1000-Pesos

 

Classe 1903, laurea in legge e dottorato a Roma, si guadagna il titolo di “Tribuno del popolo” per essersi prodigato, come neo-deputato, per la causa dei raccoglitori di banane della zona di Santa Marta.

 

Quella conosciuta come “Masacre de las bananers”, è una terribile pagina della storia colombiana, che cattura subito la mia attenzione. Lascio temporaneamente Gaitán e le sue frasi sulla banconota da mille pesos “Io non sono un uomo, sono un popolo”, “Il popolo è superiore ai suoi dirigenti”, per approfondire questa brutta fetta di storia.

 

Siamo agli inizi del 900, nella parte nord della Colombia, quella caraibica. Tra i tanti investitori che fiutano affari nella zona, c’è Minor Cooper Keith, una americano. In poco tempo, l’imprenditore riesce a costruire un impero : la United Fruit Company, capace di controllare quasi l’80% del commercio internazionale di banane dell’epoca.

 

1.383.485 ettari di terra, 2434 km di ferrovia e 90 barche a vapore, ecco la forza dell’azienda, capace di attirare migliaia di operai. Taglio della frutta, carico dai campi al porto e irrigazione, queste le occupazioni di un dipende della UFC.

 

Per contrattare i lavoratori, l’azienda si serviva di “ajusteros” (intermediari), utili a due scopi: non doversi occupare di rintracciare i braccianti e soprattutto poter affermare che non fossero propri dipendenti diretti.

 

Con questa scusa la UFC ha negato, per anni, diritti basici ai lavoratori, eludendo le norme sul lavoro colombiane. Trattenuta sulle paghe per prestazioni mediche mai ricevute, alloggiamento in baracche con condizioni igienico-sanitarie pessime, pagamenti metà in voucher metà in denaro e solo alla fine delle prestazioni lavorative.

 

Insomma, di motivi per scioperare ce n’erano parecchi ma non erano solo i braccianti ad “avercela” con la compagnia.
Chi possedeva un appezzamento di terreno nella zona, era soggetto a continue minacce da parte dell’impresa, si legge di incendi, tagli dell’acqua e furti. Moltissime le petizioni inviate e le cause perse dai coloni. La UFC “invitava” a lasciare che si potesse appropriare di terreni incolti e che potesse espandere le sue piantagioni senza tanti ostacoli.

 

In più, la posizione di quasi totale monopolio della compagnia, faceva in modo che i prezzi di mercato fossero quelli imposti dalla stessa, a perderci i commercianti e i piccoli contadini.

 

Le continue lamentele e richieste di aiuto inviate a Bogotà, vengono accolte sotto forma di una Commissione, inviata nella zona con il compito di indagare su quanto stesse avvenendo. Le difficoltà riscontate nell’agire da parte della stessa, fanno subito intendere la gravità della situazione. Una polizia nella mani della compagnia, fa arrestare alcuni membri della Commissione, per un forte scontro in materia di canali.

 

Uno stato nello stato, che con il potere del denaro, compra il consenso di forze dell’ordine e amministrazioni locali, che si scagliano contro i propri concittadini.

 

La creazione delle prime forze sindacali, favorisce la stesura di alcune richieste da presentare alla compagnia, come ultimatum :
-Rimborso incidenti sul lavoro
-Abitazioni igieniche
-Riposo la domenica
-Pagamenti settimanali
-Ospedali più diffusi e meglio serviti

 

Le richieste non vennero prese in considerazione dalla compagnia, venne deciso quindi di iniziare uno sciopero alle 12 del 12 di novembre. Gli operai si organizzarono dal punto di vista delle provviste e delle comunicazioni, le loro ragioni dello dovevano infatti essere conosciute a livello nazionale. Si stima che in un mese di sciopero aderirono circa 32.000 lavoratori.

 

Vengono inviati diversi battaglioni per ristabilire l’ordine, iniziano i primi arresti. Un ispettore del lavoro, inviato da Bogotà, dichiara legale lo sciopero e viene incarcerato insieme ad alcuni lavoratori. La compagnia è sterminata, sorda alle richieste, senza paura, nemmeno del governo, con l’esercito e la polizia dalla sua.

 

Dopo le pressioni del Ministero del lavoro si raggiunge un primo accordo, la compagnia accetta le richieste di miglioramento delle abitazioni, delle paghe settimanali e di implementare la rete ospedaliera.

 

Sembra quasi fatta ma come rettificare un trattato se l’impresa continua a non riconoscere i propri dipendenti? La UFC dichiara che solo una volta tornati al lavoro i dipendenti avrebbero potuto godere degli accordi presi. Senza nessuna garanzia che questo potesse realmente succedere, i lavoratori si rifiutano di riprendere.

 

L’Ufficio generale del lavoro inizia spingere i lavoratori perché tornino nei campi e perché cambino i propri rappresentati, considerati troppo fermi sulle proprie posizioni. Era necessario interrompere lo sciopero per non far precipitare la situazione.

 

La compagnia riprende comunque le attività assumendo “esquiroles”, nuovi lavoratori, che non appoggiano lo sciopero. Quest’ultimi, protetti dall’esercito riprendono a tagliare i banani.
Gli scioperanti passarono allora alle maniere forti, si iniziano a distruggere grandi quantità di raccolto e a cercare di bloccare i treni che si apprestavano a raggiungere il porto.

 

Una lotta impari. Non rimaneva che scendere in piazza, per manifestare tutto il proprio dissenso nei confronti di una compagnia che agiva indisturbata senza il minimo rispetto dei propri lavoratori e dello Stato che la stava ospitando. La United Fruit Company arrivò a minacciare i lavoratori dell’imminente arrivo dei marines americani per ristabilire l’ordine. La lotta si fa quindi anche nazionalista, contro un prepotente invasore.

 

9 cadaveri vengono lasciati in piazza, a mo’ di avviso, alcuni sepolti nei campi di banane, altri buttati in mare. Non se l’aspettavano che la minaccia di aprire il fuoco si sarebbe fatta realtà. Un massacro, di cui non si conoscono i numeri precisi. La repressione che vince sulla negoziazione. A urlare “Fuoco!” il generale Cortez, lo stesso che ordinò i moltissimi arresti e gli incendi delle case sindacali.

 

I sopravvissuti sono costretti a scappare o a tornare a testa bassa nelle piantagioni. E qui torniamo a Gaitan, che dopo aver attraversato tutta la zona interessata, denuncia a gran voce il comportamento del governo conservatore, complice della UFC.

 

L’erosione del suolo e gli incessanti problemi dei lavoratori fecero in modo che dopo la seconda guerra mondiale la UFC abbandonasse la Colombia per concentrarsi su altri paesi del Latino America.

 

Il “Masacre de las Bananeras” e Jorge Eliécer Gaitán due storie di sangue, intrecciate, enormi. Non sopravvive ai colpi di pistola sparategli di fronte a un albergo, colui che fu Sindaco di Bogotà, Ministro dell’Istruzione, rettore dell’Università “Libre”. Così amato da scatenare il “Bogotazo”, una rivolta popolare e il linciaggio del presunto assassino.

 

Scavare nella memoria di questo paese mi aiuta a comprenderlo, ad apprezzare la statura di alcune sue figure di riferimento.
Con mille pesos posso comprare una bottiglia d’acqua, 15 caramelle alla menta o una deliziosa empanada piena di formaggio, da oggi anche ricordare un uomo che ha fatto una Colombia migliore.

01/04/2016
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